La società in cui viviamo è ormai assurdamente complessa e nel corso degli anni, leggi e leggine hanno impastoiato tutte le risorse fisiche. La proprietà di case e terreni è strettamente regolamentata, le acque sarebbero di tutti, ma soggette ai regolamenti di mille autorità. L’aria è libera, ma solo passarci richiede il consenso di altri. Quando William Marconi (la madre era l’erede irlandese dei produttori del whiskey Jamieson)[1] inventa la radio, anche lo spettro elettromagnetico (prima se ne ignorava l’esistenza) diventa una risorsa comune che viene regolamentata. La radio diventa uno strumento di potere come la stampa quattro secoli prima. I dittatori che facevano un colpo di stato occupavano, prima di tutto, la sede della radio nazionale, in modo da avere il controllo del mezzo di informazione. I dittatori moderni occupano le televisioni. La prossima generazione occuperà Facebook o Google.
RMI La prima radio pirata italiana
La situazione. Un unico gestore nazionale la RAI, erede della EIAR dei tempi del fascio. Il pubblico italiano ha la scelta fra tre canali. I primi due, di intrattenimento generale e d’informazione, il terzo canale è dedicato alla musica classica e ai programmi culturali. La radio in Italia è monofonica, gli Stati Uniti, dagli anni Cinquanta, trasmettono in stereofonia. La RAI dispone di un’efficacissima “commissione di ascolto”, il cui compito è di selezionare programmi e canzoni adatti ad essere trasmessi. I testi devono essere rispettosi di principi quali la Patria, la religione, la chiesa cattolica, il Presidente della Repubblica e l’ordine costituito in genere.
La commissione tiene in considerazione anche il modo di cantare degli artisti, non ci si deve scostare troppo dalla tradizione italiana del bel canto. Domenico Modugno, Fabrizio de Andrè e molti altri[2] vengono per anni scartati dal palinsesto RAI. Quindi pochi programmi, strettamente censurati, tante commedie adattate, poca musica. Non si può dire forfora, ascella, cerume e neppure seno, figuriamoci Cazzo! (lo dirà poi Cesare Zavattini in diretta a Radio Rai nel 1976 creando uno scandalo nazionale).
E così passano gli anni e tutti quelli affacciati sul Tirreno ascoltano Radio Montecarlo e gli altri cercano di captare RTL[3], radio Caroline o la BBC. In Italia c’è un vuoto legislativo per le frequenze radiofoniche. In quegli anni iniziano a circolare i Citizen Band (Banda Cittadina), meglio noti come CB, rice-trasmettitori di bassa potenza e buona qualità, che invadono il campo ristretto e controllatissimo dei radioamatori[4]. Con l’avvento del CB l’accesso alla tecnologia diventa di una facilità disarmante. Anche qui la regolamentazione è carente, basta, infatti, non occupare (e non ascoltare) i canali della Polizia. I produttori di CB ne approfittano per vendere i loro baracchini a prezzi accessibili.
Anche io ne comprai uno, che installai in una borsa della mia Guzzi 750 V7, e faceva un figurone. Il boom dei CB esplode in men che non si dica e nasce la comunicazione a due vie[5]. La gente si incontra nell’etere, chatta per flirtare. I camionisti avvisano i colleghi di rallentare quando vedono la polizia.
In questo clima Radio Montecarlo avvia un rinnovamento generale e amplia la propria area di copertura. In prima fila sono pronte ad investire le multinazionali del tabacco sempre alla ricerca di canali per pubblicizzare i propri prodotti vietati. Il principato di Monaco è inoltre molto interessato a reclamizzare, al vicino pubblico italiano, le risorse turistiche (e fiscali) a disposizione.
Radio Montecarlo trasmette programmi spensierati e provocanti. Il pubblico può assaporare il gusto della Costa Azzurra, il fascino di Brigitte Bardot e l’irriverenza di Johnny Hallyday. Le radioline sempre più piccole, spuntano ovunque preparando il terreno ad una vera e propria rivoluzione[6]. Perché tanto successo? Cosa vuole il pubblico italiano? La musica! L’emittente monegasca diffonde musica 24 ore su 24. La Rai dopo un po’ tenta di tenere il passo, con alcuni programmi come Supersonic o la Hit Parade di Lelio Luttazzi che riscuotono un grande successo. Ritmo, freschezza e qualità, ma dopo circa un‘ora, le trasmissioni finiscono e si ritorna alla monotonia delle programmazioni del Monopolio. I giovani stanno assorbendo la voglia di libertà e trasgressione che si sta propagando in tutta Europa. L’Inghilterra è stata trasformata dall’uragano Beatles e Rolling Stones. La RAI, statale e burocratica non si rinnova. Non esiste la figura del disc jockey e l’atmosfera è vecchia.
Bob Stewart, di radio Caroline introduceva il brano che stava per iniziare con ritmo e armonia, alla fine il pezzo sfumava e il DJ ritornava a far sentire la propria voce. Il pezzo successivo arrivava poi evitando spazi vuoti”. Dondoni[7] ricorda: “ per noi era una cosa innovativa, magica, che faceva impazzire me e i miei amici. Angelo e Rino Borra, a casa loro in Via Locatelli 3, a Milano, decidono di condividere la loro passione per la musica, con più persone, per l’esattezza con tutta la città di Milano. Muniti di un piccolo marchingegno militare e con solo 100 watt di potenza invadono la città con la musica che tutti volevano.
I fratelli Borra, si improvvisano DJ aiutati dai fratelli Cozzi figli di un diplomatico in pensione. Il 10 Marzo 1975, tutta Milano, si sintonizza sulla frequenza 101.1 Mhz ed ascolta musica. La prima emittente libera è innovativa rispetto alla RAI, una vera “music radio[8]” e viene battezzata Radio Milano International, RMI. L’ispirazione è di stampo U.S.A., il logo è un cartello stradale esagonale rosso, che segnala lo stop sulle strade americane.
NON STOP MUSIC diventa il war cry (il grido di guerra) dell’emittente, viene ripetuto, fin dalle prime trasmissioni, all’infinito. La radio inizialmente trasmette in differita[9], dalle diciannove alle ventitrè, tutti i giorni e ottiene subito un grandissimo successo. Le trasmissioni registrano, non in maniera ufficiale[10] evidentemente, uno share altissimo. Non c’è concorrenza! La televisione ha un palinsesto ancora scarno e la musica di RMI riempie uno spazio vuoto che nessuno aveva ancora occupato[11]. La notorietà di RMI raggiunge anche l’Escopost[12] che, con la consueta velocità, dopo cinque settimane, irrompe negli studi di Via Locatelli interrompendo in diretta il programma in corso.
Il 14 Aprile 1975, il quotidiano La Notte pubblica in prima pagina la notizia dell’arresto dei fratelli Borra e la sospensione dei programmi richiesta dal Pretore di Milano. Ne segue una vera e propria discussione popolare alimentata dai quotidiani. Ci si chiede se il monopolio RAI sia giusto o limiti invece la libertà del popolo italiano. I giovani per primi iniziano a far sentire la propria voce, si scatena un malcontento generale che viene rapidamente superato da un evento inaspettato. Il 25 Aprile, la Notte titola: ”Respinta la denuncia dell’Escopost”. RMI è libera e torna a trasmettere.
Legittima la produzione di programmi privati. Il Pretore, che ordinò il sequestro affermerà che fino a quando non si determinano interferenze che possono nuocere alla ricezione delle emittenti di Stato, i programmi di RMI possono continuare.
RMI inizia a trasmettere 24 ore su 24[13] ed in stereofonia. L’importanza di questi eventi è talmente rilevante che il 28 Luglio 1976, la sentenza 202 della Corte Costituzionale limiterà il monopolio pubblico del servizio radiotelevisivo via etere, consentendo l’installazione e l’esercizio di impianti di diffusione non eccedente l’ambito locale[14].
Per prima cosa, si assiste ad un rapido cambiamento nelle possibilità di ascolto[15]: Cresce la richiesta di autoradio, di sintonizzatori da casa e impianti hi-fi. La modulazione di frequenza, la popolarissima FM[16] per intenderci, diviene prerogativa di tutte le radio private che, dopo la legalizzazione di RMI crescono come funghi[17].
Gigio Dambrosio, che raggiunge i microfoni di RMI nel 1975[18], conferma che “il tutto nacque per gioco, ispirandosi alle radio americane[19]”. La realtà americana è caratterizzata, fin dagli anni 40 da un mercato libero, fortemente concorrenziale. L’offerta è eterogenea ed in continua evoluzione. Le emittenti U.S. sono di “formato”. Trasmettono, infatti, un solo genere musicale. I DJ sono dei veri intenditori della musica trasmessa e la qualità dei programmi è facilmente percepibile.
Il modello a stelle e strisce viene importato e adattato con stile sbarazzino, spesso maccheronico, alla realtà italiana. La semplice ricetta proposta dai fondatori attira presto i primi investitori. Le major discografiche sponsorizzano l’emittente milanese, forniscono i microsolco di importazione, garantendosi una messa on-air in tempo reale[20] dei prodotti commercializzati. I negozi di dischi sono presi d’assalto da tutti gli appassionati di musica.
Si sviluppa un indotto dalle proporzioni sempre più vaste. Gli investimenti pubblicitari diventano regolari e la redazione diventa sempre più professionale[21]. Rimanendo fedele alla missione primordiale NON STOP MUSIC, RMI cerca in continuazione nuove soluzioni per interagire con il proprio pubblico in maniera diretta[22].
La ricetta di RMI è semplicissima: osservare tutto ciò che è nuovo ed interessante negli States, sia a livello creativo che comunicazionale e tentare una sintesi qualitativa da applicare al bel paese (scopiazzare). Tra i primati raggiunti non vanno dimenticati la pubblicazione di una rivista dedicata contenente una compilation di successi musicali[23] e la sponsorizzazione dello stilista Moschino, che diviene il curatore d’immagine ufficiale di RMI. Queste nuove forme di comunicazione aumentano il numero di appassionati in maniera vertiginosa. RMI inizia ad imporre vere e proprie mode[24] nel mercato radiofonico e musicale italiano, seguite con attenzione maniacale anche dagli addetti ai lavori[25].
Le entrate saranno garantite dagli investitori pubblicitari che, a partire dal 1977[26], crescono significativamente. Nel triennio 1981-1984 si assiste ad una forte crescita delle risorse destinate alla radio. La natura “locale” delle radio private avvicina nuovi e piccoli utenti fino ad allora lontani dal mercato pubblicitario causa costi eccessivi ed un elevato livello di dispersione di contatti. Gli investimenti in pubblicità radiofonica aumentano anche per la Rai ma nell’85 avverrà il sorpasso. Gli investimenti pubblicitari in Italia negli anni 81/85 ( miliardi di lire).
1981 | 1982 | 1983 | 1984 | 1985 | |
Radio RAI | 48 | 60 | 70 | 68 | 75 |
Radio Private | 40 | 40 | 48 | 65 | 75 |
Fonte UPA
Ho letto questo articolo con grande interesse! Grazie! Ero uno di quelli che stavano ad ascoltare RMI anche di notte. Grazie ancora!